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Le ragioni della rivoluzione
fra Mario Martone e Büchner
Da sinistra, Paolo Pierobon e Giuseppe Battiston in una scena di «Morte di Danton» con la regia di Mario Martone
NAPOLI – «Sotto l’apparenza del dramma storico Morte di Danton nasconde i nervi scoperti della condizione umana, così come sarà rivelata e rappresentata un secolo dopo, nel Novecento, con quella stessa incandescenza, la stessa disillusione, lo stesso urlo soffocato. Per Büchner, come per Leopardi (La Ginestra è di un anno dopo), la Storia non è che una macchina celibe, anche se le ragioni per scatenare la rivoluzione sono sempre tutte vive e presenti».
Mario Martone
È un passo della prefazione di Mario Martone alla nuova edizione del testo di Büchner che, nella traduzione di Anita Raja, Einaudi pubblicherà in occasione dell’allestimento di «Morte di Danton» prodotto dallo Stabile di Torino per la regia dello stesso Martone. Il debutto dello spettacolo avrà luogo al Carignano il 9 febbraio. E quando ho letto quel passo, nel comunicato diffuso da Carla Galliano, addetto stampa dello Stabile torinese, mi sono commosso fino alle lacrime.
Ho ritrovato in quelle parole l’affondo dell’intelligenza che ha sempre segnato il lavoro artistico di Martone. E di più, ben al di là delle vicende riguardanti la cultura e il teatro, ho ritrovato lo stesso sogno e la stessa passione che in anni lontani mi spinsero, ed altri spinsero con me, sulla strada della fede comunista. Mi son fermato a ripercorrere col ricordo i giorni in cui girai per le città e i villaggi della Grecia schiacciata dai colonnelli, rischiando la vita a diffondere i messaggi dei fuorusciti. Mi son rivisto fra i ragazzi della Federazione Giovanile Comunista Portoghese quando, armati, andammo ad accogliere e difendere Álvaro Cunhal, il leggendario segretario del Partito Comunista Portoghese che, scoppiata la «Rivoluzione dei Garofani», tornava a Lisbona dall’esilio.
Georg Büchner
Insomma, non ho riconosciuto, in quel passo, soltanto l’artista Mario Martone, ma anche il Mario Martone che avrebbe potuto essere mio fratello e mio compagno sulla strada che ho detto. E certo, non sono mancate le disillusioni; e, con esse, sono arrivati le paure, i calcoli, le menzogne e i tradimenti di tanti che pure mi si erano affiancati. Ma sempre, sempre – persino nei momenti più bui, persino quando sembrava che tutto fosse davvero perduto, che in tutto e per tutto ci fossimo sbagliati – ho avuto chiarissima la coscienza che «le ragioni per scatenare la rivoluzione» fossero «vive e presenti». E voglio aggiungere che stamattina è successo un fatto che ha dell’incredibile. Appena ho letto il passo citato, ho deciso immediatamente di scrivere questa riflessione. E nel momento stesso in cui l’ho deciso, proprio in quel preciso momento, Mario Martone mi ha chiamato sul cellulare per invitarmi a Torino a vedere «Morte di Danton».
Mi è tornato in mente quel che diceva sempre il mio professore d’italiano al Liceo Plinio Seniore di Castellammare di Stabia. Si chiamava Pasquale Lamanna, e aveva tentato più d’una volta di suicidarsi. Ma quando decideva di far lezione (e mi ricordo proprio di certe vertiginose lezioni su Leopardi), appariva miracolosamente rigenerato, benedetto dall’orgoglio e dalla generosità. E diceva, Pasquale Lamanna: «Se un uomo pensa qualcosa di bello, quel pensiero non si perde. Resta nell’aria, e prima o poi un altro uomo lo raccoglierà».
Ti abbraccio, Mario. E sicuro che verrò a Torino a vedere il tuo Büchner. Qui chiudo con le parole di Mario Tobino, quelle di «Sulla spiaggia e di là dal molo», che già mi è capitato di citare: «Il mare no, non era possibile. Col mare i mestatori non ce la potevano. La vita continuava con la sua bellezza e ferocia. Era ancora più emozionante individuare in un angolo, in un luogo, lo stesso lampo del passato; luceva la speranza di trasfigurare anche il presente».
Enrico Fiore