«Cantico delle Creature»
per la signorina Giulia

Giovanna Di Rauso e Massimiliano Gallo ne «La signorina Giulia» (foto di Marco Ghidelli)

Giovanna Di Rauso e Massimiliano Gallo ne «La signorina Giulia» (foto di Marco Ghidelli)

NAPOLI – Eccoci all’allestimento de «La signorina Giulia» di Strindberg che, prodotto dallo Stabile di Napoli e dal Festival Santiago a Mil per la regia del giovane cileno Cristián Plana, viene adesso riproposto al Mercadante dopo ch’era stato presentato a giugno dell’anno scorso nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia. E giova, prima di giungere all’analisi dello spettacolo, ricordare ancora una volta in che cosa consiste quel celebre atto unico. Ne «La signorina Giulia» s’invera l’impossibilità della tragedia. E la tragedia è impossibile perché impossibili sono i conflitti etici fra i personaggi, condannati in partenza, e inesorabilmente, alla solitudine esistenziale. A loro resta soltanto il furore di un sesso amaro e occasionale. E in fondo è perfettamente prevedibile (e d’altronde ce ne aveva dato un esplicito segnale la decapitazione del canarino) il colpo di rasoio con cui Julie si taglierà la gola dopo essersi data al servo Jean nella cupa e allusiva notte di San Giovanni. Ora, rispetto a un simile quadro concettuale e drammaturgico, Plana mette in campo due invenzioni eccellenti. Julie viene presa da Jean mentre sta sui primi gradini di una scala che si perde oltre il soffitto del bunker di ferro arrugginito in cui qui si svolge l’azione. È, per l’appunto, il sesso in sé che si sostituisce all’evasione dal carcere della solitudine. E, poi, Julie si taglierà la gola tenendo la testa sotto lo stesso panno che copriva la gabbia del canarino: un segno eclatante della «predestinazione» di cui dicevo. A queste due invenzioni, però, se ne accoppiano altre – del tutto incongrue e incomprensibili – che con esse fanno letteralmente a pugni. Vedi, poniamo, l’abbigliamento di Julie: short di jeans e stivaletti di vernice rossa nella prima parte, gonnellina gialla e tacchi da trampoliere (un’autentica bambola kitsch) nella seconda. E vedi, specialmente, il «Cantico delle Creature» che la cuoca Kristin prende a biascicare inginocchiata davanti alla predetta gabbia del canarino. È piuttosto difficile immaginare, al riguardo, un qualsiasi significato; così come è inutile spendere troppe parole sul fatto, ovvio, che tanta confusione si estende alla prova degl’interpreti: va meglio Giovanna Di Rauso, una Julie sufficientemente «straniata», mentre, nei panni di Jean, scivola sul piano del naturalismo quel Massimiliano Gallo che pure, lo sappiamo, è un attore molto bravo. E incolore, per chiudere, risulta la Kristin di Autilia Ranieri.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 19 gennaio 2016)

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