Se Goldoni si ritrova un sassolino nella scarpa

 

Pierfrancesco Favino in una scena di «Servo per due» (foto di Fabio Lovino)

Pierfrancesco Favino in una scena di «Servo per due» (foto di Fabio Lovino)

NAPOLI – In principio (1745) fu «Il servitore di due padroni» di Goldoni, reso celebre da Strehler col titolo «Arlecchino servitore di due padroni». Poi, tre anni fa, venne l’adattamento di quella commedia («One man, two guvnors») da parte dell’inglese Richard Bean, che trasportò l’azione da Venezia a Brighton, ambientandola negli anni Sessanta. E adesso è il turno di «Servo per due», l’adattamento dell’adattamento di Bean – lo firmano Pierfrancesco Favino, Paolo Sassanelli, Marit Nissen e Simonetta Solder – che la compagnia Gli Ipocriti presenta al Diana.
Stavolta l’azione è ambientata nella Rimini degli anni Trenta. E a sostituire il Truffaldino di Goldoni sostituito da Strehler per l’appunto con Arlecchino, arriva un tal Pippo che, comunque spinto anche lui da una fame indomabile, divide i propri servigi fra Rocco e Ludovico. Ma, più che la trama, qui contano la cornice in cui la stessa è racchiusa e i meccanismi che la sostengono: la cornice del varietà, sottolineata dalle conchiglie rifrangenti delle ribalte di un tempo, e i meccanismi che, senza dimenticare la Commedia dell’Arte, mescolano le forme della farsa, del vaudeville e del musical.
Immaginate un frullatore o uno shaker che a rotta di collo fonde – cito a caso – la macchietta, l’happening con gli spettatori trascinati sul palcoscenico, il futurismo, il Trio Lescano, la comica finale, Mussolini e una Wanda Osiris «en travesti». Il tutto accompagnato dagli ottimi strumentisti-fantasisti del quartetto «Musica da Ripostiglio», con un repertorio adeguato che va da «Ho un sassolino nella scarpa» a «Voglio vivere così». E probabilmente perché siamo a Napoli, il batterista, Emanuele Pellegrini, ci offre anche il fuori programma di un’assai godibile (e tecnicamente pregevole) imitazione del Gegè Di Giacomo che se ne andava in giro a percuotere con le bacchette qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Certo – sulla distanza piuttosto lunga di due ore di spettacolo – le invenzioni e il ritmo qualche cedimento lo accusano. Ma parliamo, nel complesso, di un allestimento accurato e divertente, garantito dalla funzionale regia degli stessi Favino e Sassanelli. E per giunta Favino, nei panni di Pippo, condisce la sua bravura con accenni – tanto discreti quanto sapienti – proprio alle movenze dell’Arlecchino interpretato per Strehler da Ferruccio Soleri, compreso il leggendario «lazzo della mosca».
Fra gli altri, tutti efficaci, nomino almeno Totò Onnis (Gennaro), ancora Sassanelli (Alfredo), Anna Ferzetti (Zaira) e Fabrizia Sacchi (Rocco/Rachele). E infine passa, sull’onda della magia creata dalla musica di Rota, il «Rex» di Fellini, che fa il paio – se torniamo alla commedia di Goldoni – con il rimpianto di Pantalone per quella certa locanda di fronte alle Fabbriche di Rialto, simbolo di un’intera stagione perduta.
Accade in un’atmosfera sospesa e in penombra. Per l’appunto come nell’«Arlecchino servitore di due padroni» messo in scena da Strehler: quando – mentre Pantalone parlava sommesso della giovinezza e degli amici smarriti – restava solo la fiamma tremula delle candele e i proiettori spandevano un’azzurrina luce lunare. Allora c’è addirittura un pizzico di profondità, in questo «Servo per due». Che volete di più?

                                                                                                                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 15 gennaio 2016)

 

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