Una discesa agl’inferi
col Munaciello e la Bella ‘Mbriana

 

Imma Villa in un momento di «Scannasurice»

Imma Villa in un momento di «Scannasurice»

«Ho scelto di tornare alla messinscena di un testo in lingua napoletana, di tornare a un autore antioleografico per eccellenza come Moscato, nell’intento di allontanarmi dalla malsana oleografia di ritorno che, nuovamente, appesta Napoli di retorica e luoghi comuni, in una città che ha smarrito la memoria stessa della sua vita culturale, seppellita dalla banalità e dal conformismo».
Così, fra l’altro, Carlo Cerciello spiega perché ha deciso di riallestire all’Elicantropo quello «Scannasurice» che – nel gennaio dell’82, allo Spazio Libero di Vittorio Lucariello – segnò il debutto «ufficiale» di Moscato come drammaturgo. E raramente s’è data da parte di un regista tanta adesione ai contenuti e, di più, alle ragioni profonde del copione da lui proposto. Basterebbe, a dimostrarlo, citarne il passo seguente: «Nun moro, no… / ma neppure campo comm’apprimme: / ‘a vista, ‘e mmane, ‘e rrecchie… / tutte cose se n’è ghiute… / e pure ‘a voce… ancora ‘nu poco… e poi … / sommergerà, affonderà pur’essa».
Chi parla è un travestito che abita in una miserrima stamberga dei Quartieri Spagnoli insieme con i sacchetti della spazzatura e un esercito infinito di topi (i napoletani, s’intende) perennemente trasmigranti e ritornanti. E del tutto superfluo risulta – ben al di là dell’evento, il terremoto del 1980, a cui allude – sottolineare la valenza metaforica di un simile quadro: siamo di fronte a una discesa agl’inferi che diventa, poi, uno spietato processo contro, dice Moscato, lo «stereotipico, folclorico, mandolinico, cartolinico “essere cantabile”» che «ha sempre, sciaguratamente, resa nota» Napoli «al mondo intero».
Ebbene, Cerciello, e ancora una volta con lucida intelligenza, punta sulla radicalizzazione del dettato moscatiano che già aveva adottato nell’allestimento di «Signurì, signurì…». A cominciare dalla scelta di affidare il personaggio protagonista a un’attrice: in tal modo scompare il desiderio del travestito d’essere donna, e dunque scompaiono tanto la sua utopia esistenziale quanto il percorso dell’illusione ad essa legato.
Al centro di tutto questo, infine, si colloca un’Imma Villa semplicemente strepitosa: carnale, ironica, rabbiosa, sperduta e tenerissima, dona una sanguigna e appassionata verità sia ai tarocchi che Cerciello le fa appendere a una corda per richiamare con altrettanta ironia i proverbiali panni stesi ad asciugare sia alla Bella ‘Mbriana e al Munaciello evocati da Moscato come vie di fuga dalle macerie della realtà.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 27 gennaio 2015)

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