Canto d’amore e rabbia
nel nome della Palestina

 

Omar Suleiman in una scena de «Il cielo di Palestina» (foto di Andrea Falasconi)

Omar Suleiman in una scena de «Il cielo di Palestina» (foto di Andrea Falasconi)

NAPOLI – «Gridano i corpi sparsi tra le case, grida il fiore inerme sul balcone incenerito, grida l’orbita spenta del bambino sopra l’asfalto ucciso. È un Paese che grida nelle quattro direzioni del vento che lo flagella…».
Questo il coro che si leva verso la fine de «Il cielo di Palestina», lo spettacolo che – tratto dall’antologia letteraria «La terra più amata» – Carlo Cerciello presenta all’Elicantropo. Parla dello stesso grido (il grido di guerra dell’antica Ellade: «Aéra! Aéra!») che allucinato e terribile si levò il 24 febbraio del ’43 in piazza Syntagma, quando gli ateniesi affamati e laceri si lanciarono contro le mitragliatrici tedesche e i fucili dei carabinieri italiani, scavalcando via via i morti e i feriti. Una ragazza di diciassette anni brandiva l’unica arma che possedeva, uno dei suoi zoccoli di legno. E un blindato la travolse e la schiacciò.
Non c’è bisogno, allora, di analizzare i dettagli formali dello spettacolo. «Il cielo di Palestina» è un canto d’amore e di rabbia nel nome di un popolo dimenticato che, tuttavia, non smette di gridare l’orgoglio di essere una Patria e il diritto di avere uno Stato. A partire dal 2000, Cerciello lo ha riproposto più volte, e ogni volta con la speranza che fosse l’ultima: che, cioè, la soluzione del problema palestinese, finalmente arrivata, lo rendesse inutile. E siccome quella soluzione non è arrivata, «Il cielo di Palestina» continua ad essere utile.
Le voci della letteratura palestinese qui evocate si riassumono in quella del vecchio maestro di scuola che al termine scrive per un soldato israeliano il verso che fa da epigrafe e sottotitolo all’allestimento: «I ricchi hanno Dio e la polizia, i poveri le stelle e i poeti». E infatti, la regia di Cerciello dà luogo a un continuo passaggio dal buio alla luce, ciò che – in sintonia con la metafora dantesca – allude alla lotta inesausta per evadere dalla «selva oscura» (l’occupazione militare, il carcere, la deportazione) e uscire, appunto, «a riveder le stelle» dell’identità e della dignità.
Sì, nelle vene di questo spettacolo – che, a battere ogni rischio di retorica, mescola la sacralità dell’oratorio con lo straniamento brechtiano – circola una lucida coscienza politica. E commuove che accanto al Maestro del palestinese Omar Suleiman e alla Madre di Imma Villa ci siano i ragazzi del laboratorio dell’Elicantropo. Resisti, piccolo Elicantropo, piccola Palestina del teatro. È vincendo le piccole battaglie che si vincono le grandi guerre.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 13 gennaio 2016)

 

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4 risposte a Canto d’amore e rabbia
nel nome della Palestina

  1. Omar Suleiman scrive:

    Grazie di cuore ad Enrico Fiore, che come il suo solito sceglie le parole in modo accurato e delicato.
    Omar Suleiman

  2. Carlo Cerciello scrive:

    “”Sì, nelle vene di questo spettacolo – che, a battere ogni rischio di retorica, mescola la sacralità dell’oratorio con lo straniamento brechtiano – circola una lucida coscienza politica. E commuove che accanto al Maestro del palestinese Omar Suleiman e alla Madre di Imma Villa ci siano i ragazzi del laboratorio dell’Elicantropo. Resisti, piccolo Elicantropo, piccola Palestina del teatro. È vincendo le piccole battaglie che si vincono le grandi guerre..”
    Non potevi scegliere parole più belle, più sentite e soprattutto più significative, caro maestro, per festeggiare i nostri 20 anni di attività teatrale, iniziata il 15 gennaio del 1996.
    Onoreremo le tue parole e questi 20 anni, venerdì prossimo, stando in scena e testimoniando con la forza politica del teatro la tragedia dei più deboli, le ragioni dei popoli non quelle degli Stati.
    Grazie Enrico, grazie anche a nome di Imma e dei ragazzi in scena, per averci ancora una volta incoraggiato a resistere in direzione ostinata e contraria alla statale fabbrica dello spettacolo e agli algoritmici editti ministeriali.
    Che la poesia del teatro ci salvi dalle radiazioni nocive dell’idiozia e che la nostra vita sia “un verso, solo un verso!”.
    Ti abbraccio con affetto e stima profonda.
    Carlo Cerciello

  3. Enrico Fiore scrive:

    Grazie a tutti voi, perché è grazie a voi che, almeno ogni tanto, posso prendere una boccata d’aria pura tra i miasmi della vigliaccheria e del compromesso che giorno dopo giorno continuano a salire dalla palude del teatro cosiddetto “ufficiale”.
    Vi ricambio l’affetto e la stima.
    Enrico Fiore

  4. Enrico Fiore scrive:

    Caro Omar,
    grazie anche a te, che continui a tenere alta la bandiera del popolo e della cultura palestinesi. Come si evince dall’accenno che ho fatto alla rivolta di Atene contro gli occupanti tedeschi e italiani, mi stanno molto a cuore le lotte di quanti si ribellano al Potere, in qualsiasi forma esso si manifesti. La ragazza che morì scagliandosi contro il blindato armata solo di uno dei suoi zoccoli di legno era sorella di Michalis Lilis, l’esule politico insieme col quale ho portato il mio piccolo contributo, rischiando la vita, alla liberazione della Grecia dalla dittatura dei colonnelli.
    Ti abbraccio.
    Enrico Fiore

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