Processo tutto da ridere
nel tribunale di Scarpetta

 

Gigi Savoia in «Tre pecore viziose»

Gigi Savoia in «Tre pecore viziose»

NAPOLI – Gli espedienti infallibili della vecchia, cara e buona farsa napoletana – a partire dagli scambi di parole e dagli slittamenti di senso – ci sono davvero tutti: vedi, poniamo, «La Bohème» di Puccini che diventa «’a bonanema ‘e Puccini», il «Siete assisi?» (ossia «Vi siete seduti?») che suscita la risposta «’N’atu ppoco, stammo p’ ‘a via» e l’effeminato aiutante della modista Mariuccia, il pugliese Osvaldino, che, dovendo scegliere il tipo di pasta da buttare, sceglie, ovviamente, le orecchiette.
Parliamo di «Tre pecore viziose», la commedia di Eduardo Scarpetta che tiene a battesimo, nel riaperto Politeama, la Compagnia Stabile di Tradizione varata da Gigi Savoia e Renato De Rienzo con il sostegno della famiglia Caccavale. E come si evince dalle battute citate, completamente inventate rispetto al testo originale, quella tradizione viene onorata nell’unico modo possibile, che poi è anche il modo migliore: rinnovandone gli stilemi senza tradirli e, nello stesso tempo, senza restarne prigionieri.
Valga, in proposito, l’omaggio che il regista Marco Kretzmer (pseudonimo dello stesso Savoia) rivolge a un classico come il film tratto da «Miseria e nobiltà», riproducendone in forme nuove la celeberrima scena degli spaghetti afferrati con le mani. E dunque scorre a pieno ritmo la ben nota trama: che, ricavata nel 1881 da «Le procès Veauradieux» di Hennequin e Delacour, culmina per l’appunto nel processo che la ricca e dispotica Beatrice intenta alle «pecore viziose» del titolo – Fortunato, Camillo e Felice, rispettivamente suo marito, suo fratello e il consorte di una delle sue due nipoti – dopo averli sorpresi durante una festicciola con le loro amanti.
Personalmente, da molto tempo non ridevo così tanto a teatro. E con me, domenica sera, rideva molto anche il pubblico. È notevole, allora, il merito della neonata Compagnia: che affianca – alla veterana Graziella Marina (Beatrice) e al terzetto di esperti composto ancora da Gigi Savoia (Felice), Pippo Cangiano (Fortunato) e Francesco Ruotolo (Camillo) – un gruppo di giovani, esordienti ma già efficaci, dei quali occorre nominare, senza far torto agli altri, almeno Rosario Sannino (Ciccio Pasticcio), Carmine Iannone (Osvaldino) e Chiara Mazza (Giulietta).
Sta proprio in tale connubio il valore aggiunto (ma, direi, il valore principale) di questo spettacolo. Il mestiere di attore non può insegnarlo alcuna scuola, lo s’impara solo sul campo. E la lezione che senza parere Savoia e soci impartiscono sul palcoscenico ai compagni che cominciano, ha persino qualcosa di commovente.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 29 dicembre 2015)

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