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Per un 2015 della Parola e non delle parole
Giovanni Testori
Adesso, mentre sta per nascere il 2015, voglio fare gli auguri ricordando le parole che Giovanni Testori disse poco prima di morire: «In questi anni è stato come se non ci fossi, ma l’importante però è che io non abbia mentito, mai, e che non mi sia mai piegato per non essere isolato». E le ricordo, quelle parole, specialmente a tanti che esercitano (o dichiarano di esercitare) il mio stesso mestiere.
Testori, dovremmo esserne tutti convinti, è stato uno dei grandi intellettuali italiani del secondo Novecento, oltre che, per l’appunto, il più eroico sotto il profilo morale. Sicché, accanto alle parole di cui sopra, metto l’alta lezione che ci ha impartito circa la cancellazione che va operando la barbarie culturale d’oggi. E che cosa si vada cancellando Testori lo indicò nel primo giorno di prove dell’allestimento del suo «I promessi sposi alla prova» varato nel 1984 da Franco Parenti: «[…] questa memoria che spero si alzi su, in qualche modo, da un testo come “I promessi sposi alla prova”, è quella tal memoria senza la quale il presente non è nominabile, è cecità, annaspamento, servitù a nuovi padroni che ripetono, ingranditi, i vecchi errori ed è soprattutto un presente che non ha, come dire, le spalle e il cuore per spingersi verso il futuro».
È la Parola, allora, che occorre riconquistare: quella che il Maestro – il personaggio centrale de «I promessi sposi alla prova» – definisce «la divina, umile, gloriosa, gutturale, sacra, mormorante, urlata, incasinata, calpestata, strozzata, assassinata, ma, poi, redenta parola»: quella, insomma, ch’è la metafora e il motore (certo, anche in senso biblico) della Vita.
Mi sono state suggerite, simili considerazioni, pure dalla girandola di chiacchiere scatenata intorno allo splendido allestimento di «Natale in casa Cupiello» firmato da Antonio Latella. Invece di chiedersi se si tratti di un allestimento giusto rispetto alla commedia di Eduardo De Filippo e, soprattutto, alla collocazione di «Natale in casa Cupiello» nel quadro della drammaturgia europea decisiva (quella, in particolare, che fa capo a Pirandello), si è perso tempo a chiedersi se sia giusto presentare un allestimento del genere, assolutamente non tradizionale, in un teatro votato alla tradizione come l’Argentina di Roma. E tanto, per di più, nell’ambito della sterile visione autoreferenziale delle cose che continuano imperterriti ad adottare i partecipanti al «dibattito» in questione.
Gli auguri, insomma, vanno fatti alla Parola, perché nel 2015 sia capace di non cedere ulteriore terreno alle parole. E intanto li faccio, con affetto e gratitudine, a quanti mi manifestano la loro stima persistendo a visitare questo sito.
Enrico Fiore