Se l’anima somiglia a una biro

 

Giancarlo Cosentino in una scena di «Un calcio in bocca fa miracoli»

Giancarlo Cosentino in una scena di «Un calcio in bocca fa miracoli»

NAPOLI – Il personaggio protagonista di «Un calcio in bocca fa miracoli» – lo spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Marco Presta, autore e conduttore, con Antonello Dose, del programma «Il ruggito del coniglio», in onda ogni mattina su Radio 2 da ben vent’anni – si chiama solo con il termine spregiativo che ne indica e giudica il carattere: «vecchiaccio». E dunque, siamo di fronte a un allestimento – è in scena alla Galleria Toledo – che parte da un mélange di realtà e metafora.
Infatti, il «vecchiaccio» – un falegname in pensione – quando esce di casa si dedica all’occupazione prevalente di rubare nei negozi penne a sfera: perché, dice, «La Bic è la cosa che più d’ogni altra mi ricorda l’essere umano», in quanto ciò che capita alle biro («Dopo un po’ di tempo, l’inchiostro che hanno dentro, la loro anima, si secca») capita anche a molte persone. Ed è per questo, in fondo, che il suo unico e grande amico Armando – un pizzicagnolo anche lui in pensione – si dedica, invece, a far nascere e crescere una storia d’amore fra i due ragazzi Giacomo e Chiara, proteggendola da «ogni frizione con la vita».
Si sarà capito, allora, che nel romanzo di Presta compaiono – accanto a semplici battute da cabaret (il corpo di un vecchio è come l’Italia: «mentre il Nord cerca ancora di darsi un tono, al Sud non funziona più niente») – aforismi («Amo i miei simili solo quando ne trovo») e sentenze («Mi sembra che la vita consista nell’abituarsi alle cose che detestiamo, più che nell’inseguire quelle che ci piacciono») che, fatte le debite proporzioni, lasciano pensare all’amara lucidità di un La Rochefoucauld.
Debbo aggiungere, però, che lo spettacolo è inferiore al libro. Dovendo rendere scenicamente plausibile ed efficace l’ininterrotto monologo del protagonista in cui di fatto consiste il romanzo di Presta, l’autore dell’adattamento e regista, Massimo Maraviglia, materializza anche i personaggi della portiera concupita dal «vecchiaccio», della figlia di questi, Anna, e di un ragazzo di bottega. E così la concettualità si diluisce e si depotenzia nello sketch, mentre la metafora diventa gag. Senza contare che con gli aforismi e le sentenze di cui sopra fa letteralmente a pugni l’invenzione di battute come quella sul «ballo del catetere» che il «vecchiaccio» pronuncia a proposito di una festa in discoteca e dei suoi problemi di prostata.
Sì, il salto da La Rochefoucauld a «Made in Sud» è davvero un bel salto. Gl’interpreti, diligenti, sono Giancarlo Cosentino (il «vecchiaccio), Federica Aiello (la portiera e Anna) e Mario Migliaccio (il ragazzo di bottega).

                                                                                                                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 29 ottobre 2015)

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *