L’interrogazione chiamata Edipo

Roberto Latini e Marco Foschi in un momento di «Edipo Re», in scena al Teatro Astra di Torino
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Andrea Macchia)

TORINO – Riporto la recensione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

«In Sofocle, sovrumano e subumano si riuniscono e si confondono nello stesso personaggio. E poiché questo personaggio è il modello dell’uomo, scompare ogni limite che permetterebbe di definire la vita umana, di fissare senza equivoco il suo statuto. Quando, alla maniera di Edipo, l’uomo vuole condurre fino in fondo l’inchiesta su ciò che è, si scopre enigmatico, senza consistenza né ambito che gli sia proprio, senza appiglio fisso, senza essenza definita, oscillante fra l’uguale a Dio e l’uguale a nulla. La sua vera grandezza consiste proprio in ciò che esprime la sua natura d’enigma: l’interrogazione».
Non so quante volte l’ho citata, l’acutissima e decisiva analisi di Jean-Pierre Vernant circa il fatidico personaggio sofocleo. Ma stavolta – a proposito dell’allestimento di «Edipo Re» coprodotto dalla Fondazione Teatro Piemonte Europa, dal Teatro di Napoli e da Lugano Arte e Cultura e presentato al Teatro Astra di Torino per la regia del nostro Andrea De Rosa, che di Torino Piemonte Europa è direttore – la cito con convinzione maggiore, per non dire assoluta. Giacché, la faccio breve, lo spettacolo in questione si rivela e si sviluppa, puramente e semplicemente, come la messinscena di quell’analisi.
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Spostamenti progressivi dell’odio

Lunetta Savino e Andrea Renzi in un momento de «La madre» di Zeller, in scena al San Ferdinando

NAPOLI – Di Florian Zeller, uno dei più interessanti e affermati autori francesi di oggi, conoscevo due testi: «Un’ora di tranquillità», di cui vidi all’Augusteo, nel 2017, un allestimento con Massimo Ghini nella doppia veste di regista e protagonista, e «La menzogna», di cui vidi al Diana, due anni dopo, l’allestimento con la regia di Piero Maccarinelli e l’interpretazione, nei ruoli principali, di Serena Autieri e Paolo Calabresi.
In entrambi i casi potei constatare che la prima dote di Zeller consiste nell’abilità tecnica, e non scevra di gusto, con la quale attribuisce alla «conversation play» di ascendenza britannica la velocità e la vivacità tipiche del più classico teatro boulevardier, e in particolare del vaudeville targato Feydeau. E quella velocità e quella vivacità ricorrono anche ne «La madre», la commedia ora in scena al San Ferdinando in un allestimento coprodotto, per la regia di Marcello Cotugno, dalla Compagnia Molière, dall’Accademia Perduta Romagna Teatri e dal Teatro di Napoli.
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Stefano Massini tra Freud e Ha-Shem

Stefano Massini in un momento de «L’interpretazione dei sogni»
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Filippo Manzini)

NAPOLI – Ha fatto molte considerazioni importanti, Stefano Massini, nell’illustrare gli scopi e i contenuti de «L’interpretazione dei sogni», lo spettacolo – coprodotto dallo Stabile di Bolzano, dalla Fondazione Teatro della Toscana e dal Teatro di Roma – ora in scena al Bellini e di cui è autore e interprete. E mi soffermo su quelle tra esse che, mentre riassumono come meglio non si sarebbe potuto tali scopi e contenuti, sottolineano gli sbocchi trovati dall’operazione ben oltre il tema dichiarato della psicanalisi e, forse, gli stessi intenti di Massini.
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Santa Lupa in processione

Bruno Di Chiara e Donatella Finocchiaro in un momento de «La lupa», in scena al San Ferdinando
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Antonio Parrinello)

NAPOLI – Avevo il ricordo di due messinscene precedenti de «La lupa» di Verga, ora al San Ferdinando, protagonista e regista Donatella Finocchiaro, in un allestimento coprodotto dallo Stabile di Catania e dal Teatro della Città di Catania. La prima (con protagonista Anna Proclemer) fu firmata nella stagione 1980-’81 da Lamberto Puggelli, la seconda (con protagonista Francesca Benedetti) da Memè Perlini nel settembre del 1992, in chiusura delle Panatenee di Anacapri.
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Mirandolina fa rima con cucina

Sonia Bergamasco e Valentino Villa in un momento de «La locandiera», in scena al Piccolo
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Gianluca Pantaleo)

MILANO – Riporto la recensione pubblicata oggi dal «Corriere del Mezzogiorno».

Ha perfettamente ragione, Antonio Latella, a dire quel che dice nelle note di regia relative al suo allestimento de «La locandiera», che il Teatro Stabile dell’Umbria presenta ancora oggi e domani nel Piccolo Teatro Strehler. Lo riassumo qui di seguito nei punti principali.
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Le fake news al tempo di Otello

Barna Bányai Kelemen e Vivien Rujder in un momento dell’«Otello» in scena al Carignano
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Horvath Judit)

TORINO – Kriszta Székely, la regista ungherese che è uno dei nuovi talenti della scena europea odierna, prosegue con ammirevole coerenza nella sua indagine sul potere. Dopo aver proposto l’anno scorso «Riccardo III», presenta ora al Carignano un allestimento di «Otello», coprodotto dal Katona József Színház e dallo Stabile di Torino. E la continuità fra le due messinscene viene dichiarata e sottolineata, con decisione e precisione insieme, dal passo delle sue note di regia in cui la Székely dice che Jago «diventa un uomo di spettacolo, un illusionista». Potremmo dire lo stesso di Riccardo III.
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Elena, una luce che si spegne

Elena Arvigo in un momento di «Elena», in scena all’Argot Studio
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Alessandro Villa)

ROMA – Dopo aver letto il mio commento a «Una storia al contrario», lo spettacolo di Elena Arvigo tratto dal libro omonimo di Francesca De Sanctis e presentato nel Ridotto del Mercadante, Francesca mi ha scritto: «Se una storia accende altre storie allora, forse, valeva la pena raccontarla».
La considerazione si riferiva alla sua vicenda personale (quella di vice caposervizio delle pagine di Cultura e Spettacoli de «l’Unità» rimasta disoccupata in seguito alla chiusura del giornale fondato da Gramsci) e al fatto che, nel mio commento, rievocavo la precedente vicenda analoga di «Paese Sera». E adesso, dopo aver visto all’Argot Studio lo spettacolo di Elena Arvigo tratto da «Elena» di Yannis Ritsos, ecco che, per l’appunto, la storia contenuta nel poemetto del poeta greco ne accende un’altra, quella che riguarda me e lo stesso Ritsos.
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Antonio il Fregoli e Cleopatra la diva

Anna Della Rosa e Valter Malosti in un momento di «Antonio e Cleopatra», in scena al Carignano
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Tommaso Le Pera)

Riporto la recensione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

TORINO – Parlo, adesso, di uno dei casi – ormai rarissimi, al limite dell’inimmaginabile – in cui il teatro riesce a uscire dalle angustie dell’occasionalità commerciale per sfociare in un progetto culturalmente significante. Si tratta dell’allestimento di «Antonio e Cleopatra» presentato al Carignano per la regia di Valter Malosti e coprodotto da Emilia Romagna Teatro insieme, fra gli altri, con lo Stabile di Torino e il nostro Bellini, dove sarà in scena dal 2 al 10 marzo.
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Disintossicazione in orbita

Alice Giroldini in un momento di «Salveremo il mondo prima dell’alba», in scena al Bellini
(le foto che illustrano questo articolo sono di Manuela Giusto)

NAPOLI – Gabriele Di Luca – autore del testo di «Salveremo il mondo prima dell’alba», lo spettacolo che Carrozzeria Orfeo presenta al Bellini – pone in epigrafe alle sue note di drammaturgia la battuta, ripresa quasi integralmente, che in «Cous Cous Klan», una delle creazioni precedenti della compagnia mantovana, pronunciava, rivolto al fratello, l’ex prete nichilista e depresso Caio: «Il bene non potrà mai vincere, Achille. Svegliati. Perché il bene è sfinente. L’onestà, la sincerità, il vero amore sono tutte cose sfinenti da praticare perché non durano, sono solo degli istanti. Mentre il male è un maledetto maratoneta, uno spietato realista senza sonno che ha la resistenza dalla sua».
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Gloria e rovina di un giornale-partito

Elena Arvigo in un momento di «Una storia al contrario», in scena nel Ridotto del Mercadante
(la foto è di Manuela Giusto)

NAPOLI – «Non riuscivo a credere che fosse accaduto davvero. La società che pubblicava “l’Unità” aveva detto no all’unica proposta di acquisto seria». E poi: «Eppure, un vero giornale di sinistra, con pagine dedicate a inchieste, interviste, articoli di intellettuali e artisti, io credo che avrebbe trovato un suo spazio. Il Paese ne aveva bisogno e politicamente era il momento giusto».
Ecco, mi sembrano questi i passi-chiave di «Una storia al contrario», il monologo, tratto dal libro omonimo di Francesca De Sanctis, che Elena Arvigo presenta ancora domani sera nel Ridotto del Mercadante: il primo è un’amara constatazione, il secondo un tentativo di opporre a quell’amara constatazione la fede riaffermata in certi ideali e la speranza che essi potessero ritrovare, nonostante tutto, un terreno fertile.
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